Altri mondi che già esistono: prospettive femministe contro la guerra dalla Colombia
Natalia Hernández Fajardo
Mujeres contra la guerra, mujeres contra el capital,
mujeres contra el machismo, contra el terrorismo neoliberal1

1.
Nell’attuale crisi planetaria caratterizzata da un regime di guerra globale primeggia un accordo basato sul rilancio dell’accumulazione del capitale a partire da economie e logiche di guerra, mentre assistiamo alla strepitosa caduta della narrativa del modello di globalizzazione neoliberale con la sua retorica dell’espansione del benessere economico e della prosperità sociale. Tuttavia, per alcuni territori del mondo, questa promessa non ha mai assunto la forma di una realtà tangibile; anzi, tutto il contrario, tre decenni di implementazione del neoliberismo sono stati sufficienti per intensificare la precarizzazione della vita, l’aumento delle diseguaglianze e l’aggravamento di molteplici tipi di violenza. A fronte di questa realtà che attraversa in modo trasversale l’America Latina, i femminismi, al plurale, dispiegano eterogenee «capacità creative rigenerative» di trame comuni che sostengono la vita, sfidano il modello capitalista e la sua espressione coloniale e patriarcale sui corpi e i territori, e mentre lo fanno, trasformano ed ampliano gli orizzonti del possibile. In questo articolo facciamo riferimento ai femminismi controegemonici, contro la guerra e il neoliberismo, che sfidano a partire dalle loro epistemologie e pratiche quotidiane le visioni binarie del mondo: privato e pubblico; natura e cultura; umano e non umano; produzione e riproduzione, urbano e rurale, individuale e collettivo, sviluppo e sottosviluppo. Da questo punto di partenza, i femminismi rispondono a dinamiche di espropriazione, ipersfruttamento, indebitamento2, diseguaglianze socioambientali (Ulloa, 2022), molteplici spoliazioni di energia vitale dai corpi e dai territori3, che si intensificano attraverso strutture classiste, razziste e coloniali in tutta la regione.
La Colombia non è un’eccezione: il ruolo del movimento femminista è una chiave di comprensione fondamentale dei processi di riconfigurazione politica e sociale di questi ultimi anni, tra i più importanti che abbia mai vissuto il paese. A partire da questa prospettiva, segnaliamo tre elementi centrali dell’attuale congiuntura colombiana: in primo luogo la firma degli Accordi di Pace tra la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionare della Colombia – Esercito del Popolo FARC-EP e il governo nel 2016, che includono un capitolo etnico con prospettiva di genere, il più avanzato degli accordi di pace in relazione al riconoscimento dei diritti delle donne e delle diversità sessuali. A seguire, l’estallido social del 20212021, evento inedito per la trasversalità spaziale delle mobilitazioni, la durata temporale, la radicalità delle rivendicazioni e la convergenza di diverse soggettività subalternizzate, incluso la partecipazione con un ruolo protagonista del mondo dei femminismi popolari; infine il trionfo elettorale, per la prima volta in 200 anni di storia repubblicana, di una coalizione progressista e popolare alle elezioni del 2022, con la vittoria del presidente Gustavo Petro Urrego, ex guerrigliero dell’ M-19 (movimento guerrigliero nato come risposta ai brogli elettorali delle élite politiche ed economiche) e la vicepresidenta afrocolombiana Francia Márquez, avvocata, ambientalista e femminista, che è stata lavoratrice domestica e leader delle lotte sociali antiestrattiviste nel Cauca.
Questi tre momenti, intrecciati tra loro e attraversati dalla crisi pandemica, hanno segnato un cambiamento d’epoca, o per lo meno una radicale trasformazione rispetto alle forme e al senso della politica tradizionale, caratterizzata dalla promozione della disuguaglianza estrema, dalla distruzione dell’ecosistema e dalla violenza patrocinata dallo Stato. Oggi, mentre le maggioranze dei governi del mondo stanno discutendo di come rafforzare la militarizzazione, il governo colombiano, il paese con il conflitto armato più lungo che sia mai esistito, situa al centro della sua agenda la ricerca della pace totale, seppure con limiti e sfide complesse, la questione ambientale, la denuncia del genocidio in Palestina, le riforme per la giustizia sociale, la creazione del Ministero dell’Uguaglianza e il riconoscimento della ricchezza pluriculturale del paese – il suo slogan è “Colombia potenza mondiale della vita”. Nel programma politico del governo risuonano le voci di – e la costruzione di convergenza tra – lotte femministe, indigene, afrodiscendenti, socioambientali, contadine, urbano-popolari, che portano avanti, tra enormi avversità e difficoltà, processi territoriali di lungo periodo e trasformazioni strutturali che trascendono spazi politici locali o nazionali, cercando di porre limiti all’assedio del capitale. Farò riferimento quindi alla vitalità dei processi e delle memorie di lungo periodo che ricompongono la vita nei luoghi attraversati dalla guerra.
Tutto questo in un contesto globale che istituisce la crisi come norma, sulla base di una governance militarizzata strettamente legata alle strutture capitaliste, che si esprime attraverso la soppressione della dissidenza e un rafforzamento autoritario dell’obbedienza (Mezzadra e Hardt, 2024), con agende programmatiche antifemministe e anti-migranti, di criminalizzazione dei movimenti popolari, afrodiscendenti e indigeni. Cercheremo, da una geografia femminista e popolare, con le sue connessioni regionali e globali, di offrire elementi che ci aiutino a pensare i processi di riorganizzazione degli spazi di lotta e contesa politica a fronte dei processi di valorizzazione e accumulazione del capitale nei tempi del regime di guerra globale. Ci interessa contribuire alla riflessione attorno a queste trasformazioni dalla Colombia con uno sguardo transnazionale, recuperando in particolare quelle esperienze che, sebbene non siano isolate, sono però invisibilizzate; esperienze che già esistono e producono infrastrutture che sostengono la vita di fronte alle spoliazioni e ai saccheggi quotidiani di corpi, territori-acqua (Ulloa, 2023) e comunità, molte di queste intrecciate con ontologie relazionali e pratiche femministe.
Quali capacità hanno altre visioni della politica, che concepiscono il potere oltre la contesa con lo Stato (senza disconoscerne l’importanza), di ampliare gli orizzonti stessi della politica, della giustizia sociale, ambientale e di genere, e di rafforzare la costruzione di alternative politiche per le maggioranze, andando oltre i limiti della politica elettorale? Come, seguendo Yayo Herrero e Verónica Gago (2023), possiamo pensare le logiche di riappropriazione della ricchezza collettiva che in questo contesto di molteplici crisi permettono di sostenere con una forza altra queste infrastrutture dissidenti?
Una lunga storia di violenze
affinché entri lo sviluppo, devono uscire le persone
La lotta femminista adotta forme e agende diverse in ogni territorio latinoamericano e non solo, in base a tradizioni politiche, storiche e ai processi sociali coinvolti: per pensare dalla Colombia le risonanze della radicalità, massività e capacità dello slogan “Ni Una Menos” di irradiarsi in diversi territori5, risulta importante pensare la specificità delle soggettività femministe nel contesto del conflitto armato più longevo al mondo, stabilendo simultaneamente le connessioni con la «capacità creativa rigenerativa» (Gutierrez Aguilar et al, 2022) delle soggettività popolari che costruiscono possibilità di ricomposizione contro le logiche estrattive del capitale (Gago, Mezzadra, 2017). Se in America Latina il neoliberismo è emerso con i golpe militari, e si è mantenuto in democrazia con il Washington Consensus, in Colombia possiamo ritrovare la continuità sotto le spoglie democratiche del modello6 di sfruttamento coloniale, razzista, patriarcale basato sulla logica della guerra che ha imposto le sue dinamiche per perpetuarsi attraverso complessi assemblaggi tra narcotraffico, paramilitarismo, neoliberalismo e governi autoritari7.
La sociologa afrofemminista Betty Ruth Lozano (2016) descrive come negli anni Settanta nel Pacifico Colombiano sia stata imposta l’industria della coltura dei gamberi e la coltivazione intensiva della palma, e come dieci anni dopo, questo progetto sviluppista diventò la prima causa di sfollamento forzato delle popolazioni locali. Queste trasformazioni economiche, socioculturali e ambientali hanno creato le condizioni per l’arrivo della monocoltura della coca e con essa sono arrivati i gruppi armati, legali ed illegali, a esercitare il controllo sul territorio. Negli anni Novanta la violenza si è intensificata in maniera atroce. Per le comunità, i progetti di accumulazione capitalista hanno significato nuove dinamiche di violenza e spossessamento che hanno trasformato i territori in una geografia del terrore8. L’impatto sulla vita delle donne adotta delle forme specifiche: «rimanere nel territorio e sostenere la comunità è anch’esso un rischio, molte donne lo hanno fatto nella regione, e molte sono morte per questo. Gli stupri, le minacce, la paura costante che ti possano causare danni. Ci vedono vulnerabili […] una specie di inquisizione che si perpetua nell’incosciente maschile gli fa sentire che possono fare con noi quel che vogliono, che hanno l’autorità per castigarti»9
Irina Carrascal dell’organizzazione COODEPAZ - Catatumbo, aggiunge: «e la donna è più vulnerabile in guerra, perché se ti prendono ti violentano, ti intimidiscono in molti modi […]. Quando prendono un uomo è per sequestrarlo, per ucciderlo. Non per stuprarlo. La donna quasi sempre. […] Per questo si dice che essere una bambina è come portare una bomba sui piedi, perché ci succede di tutto in guerra».
Bibiana Peñaranda, dell’organizzazione Alas Nuevas Construyendo Futuro, dalla città di Buenaventura nel Pacifico colombiano, afferma: «noi abbiamo fatto una inchiesta in cui emerge come alle donne nere prima di stuprarle le insultavano con toni razzisti e sessisti. Prima di stuprarle bisognava riconoscerle un ruolo di subordinate, per cui dalla colonizzazione in poi sembra come se il suo corpo sia fatto per questo, per essere violentata, colpita, non riconosciuta»10.
In questi frammenti di interviste emergono varie questioni. Da una parte, si evidenzia l’impatto sulle comunità delle relazioni tra dinamiche estrattiviste e l’intreccio con logiche coloniali e patriarcali. Esistono studi che dimostrano la coincidenza tra il consolidamento di progetti estrattivisti e bellici nei territori e l’aumento della violenza di genere (Ulloa, 2023). Si sviluppa così l’idea secondo cui secondo la stessa logica della discriminazione basata sul razzismo e la differenza sessuale in funzione dell’economia capitalista (Federici, 2015), nell’ambito dei paradigmi bellici che compongono le nuove forme di guerra e che si caratterizzano per il predominio dell’informalità parastatale e la violenza corporativa, i corpi delle donne diventano un obiettivo strategico come «documento efficiente dell’effimera vittoria sulla morale dell’antagonista». I corpi delle donne sono usati come «bottino di guerra»11. Rispetto a questa analisi, Bibiana Peñaranda sottolinea la necessità di evitare omogeneizzazioni, analisi accelerate dall’ansia di stabile luoghi comuni come se «a tutte ci attraversasse la stessa situazione». Racconta che durante i dibattiti della Commissione della Verità12 e della JEP13 Giustizia Speciale per la Pace, le dissero che «tutte le donne erano bottino di guerra nel contesto della violenza in Colombia», e lei rispose così: «non tutte siamo bottino di guerra. Perché quando si diventa bottino di guerra è per dimostrare agli uomini che non sono abbastanza forti. Noi no. […] Quando ci vengono a violentare in guerra per prima cosa guardano il colore della pelle».
Cercare di comprendere le nuove forme che adotta l’intensità delle attuali violenze implica adottare uno sguardo che metta in relazione i processi di enclosures prodotti dalla logica di accumulazione del capitale estrattivista, mercantile, industriale, dell’agrobusiness, le logiche delle maquiladoras, finanziarie e criminali (Gutierrez, Navarro, 2022), con le violenze multidimensionali: ontologiche, epistemologiche e strutturali, a partire da una prospettiva antirazzista. Bibiana muove una critica necessaria: «il problema è che non viene riconosciuto che le violenze attraversano i nostri corpi in modi diversi». Implica interrogare cosa ci dicono queste interviste sull’aggressore, in relazione alla riconfigurazione delle mascolinità nel nuovo contesto globale, la produzione di soggettività reazionarie come parte della gestione della precarietà da parte delle nuove destre, che celebrano le armi, ed ostentano forme di insensibilità machista e di crudeltà (Gago, 2024). In particolare, quando vediamo l’espansione di forme di violenza che si erano mantenute sul territorio colombiano verso territori come il Messico e l’Ecuador. Le pratiche di disciplinamento esercitate dai gruppi paramilitari si focalizzano sul ripristino delle logiche di obbedienza nei confronti di chi mette in discussione o resiste alle logiche sviluppiste del grande capitale e del conflitto armato (Lozano, 2016), e sull’indebolimento delle relazioni e delle sensibilità sociali.
Queste forme si articolano con la legittimazione del narcotraffico come modello di vita e di sviluppo in Colombia. Da qui nasce nei primi anni Novanta la cultura traqueta (parola propria del linguaggio utilizzato dai sicari del narcotraffico e del paramilitarismo). Il traqueto, originariamente il membro del livello inferiore nella gerarchica piramide delinquenziale, aderisce incondizionatamente al neoliberismo economico e al neoconservatorismo politico e ideologico. Si caratterizza per una morale religiosa per cui condanna l’aborto e le dissidenze sessogeneriche, nutre un odio feroce contro il comunismo, i popoli indigeni e le persone povere, ed è disposto a risolvere qualsiasi situazione con la violenza. Come proclama l’individualismo estremo, giustifica qualsiasi azione che produca profitto senza considerare le conseguenze sulle vite di altre persone, né rispetto ai mezzi necessari per arrivare a tale fine. In altre parole, se gli autori di femminicidio sono figli sani del patriarcato, i traquetos sono figli sani del capitalismo: questo modello di soggettività attraversa i quartieri popolari fino alle istituzioni dello Stato. È la forma attraverso cui prende corpo e si istituzionalizza una ri-patriarcalizzazione del capitale globale nei territori estrattivisti e nei contesti di guerra. Ci racconta la leader indigena Nasa Roseli Fincue Chavaco dal Cauca: «la guerra per le donne indigene è una realtà imposta che si contende i nostri territori, le nostre diversità. Viene gestita da alcuni poteri centralisti, poteri economici, che non sono evidenti a prima vista, che hanno la loro economia di enclave e il potere per mostrare la guerra come se fosse un problema locale. Quindi la guerra è una realtà che semplicemente evidenzia la contesa tra poteri che si gioca a livello globale, a livello transnazionale e che porta più disuguaglianza, grandi profitti per i poteri economici, la guerra quello che fa è giustificare l’armamento e ogni disposizione al controllo militare e della sicurezza, con il relativo uso delle tecnologie belliche […] quello che fa è far arricchire i monopoli economici»15.
La guerra cerca di rompere le strette relazioni che legano i corpi delle donne con le cosmovisioni delle comunità, proprio perché sono una parte fondamentale dei processi di resistenza allo spossessamento (Claros, 2017), ma soprattutto perché rappresentano modi di esistenza che si contrappongono al modello capitalista.
Con la presidenza di Uribe (2002 – 2010)16, è stata implementata la Dottrina della Sicurezza Democratica17, un programma di guerra controinsorgente che si proponeva di «sradicare un gruppo sociale», eliminare l’indesiderabile, come parte della messa in pratica di un paradigma che puntava alla riorganizzazione culturale della società basata su una retorica neopratriottica che ha definito una «alterità negativa», con il presupposto di una sopravvivenza tra “uguali” al costo di eliminare alcuni “nemici”, tendenzialmente incarnati dalle alterità interne alla nazione: «donne povere, neri, indigeni, dissidenti», ma anche giovani di settori popolari assassinati e mostrati come guerriglieri caduti in combattimento (i cosiddetti “falsi positivi”)18. Dall’enorme e terribile estensione di questo fenomeno è nata MAFAPO, una organizzazione delle Madri contro i crimini di Stato, la cui lotta risuona con quella delle Madres de Plaza de Mayo in Argentina, delle Madres Buscadoras in Messico e più recentemente delle Madres de la Escombrera a Medellín, che denunciano il terrorismo di Stato e le relazioni tra governi, esercito e paramilitarismo.
Mentre a livello regionale a partire dal 2015 è emerso un nuovo ciclo di mobilitazioni femministe popolari antineoliberiste in paesi come Argentina, Brasile, Bolivia, Ecuador e Uruguay, emerse attorno allo slogan “Ni Una Menos”19, in Colombia la costruzione di potere delle donne dei settori popolari20 in relazione alla situazione politica dinamica del momento si è concentrata su una analisi diagnostica e su un dispiegamento di azioni contro le violenze sistematicamente operate sui corpi femminizzati e le loro comunità, sulla relazione tra queste violenze e il modello economico e sulla difesa della pace come cura del territorio e della vita. Con lo slogan “La Paz sin Mujeres no Va” le donne hanno deciso di partecipare al fatto politico più importante della storia recente del paese, la firma degli Accordi di Pace tra lo Stato colombiano e le FARC-EP nel 2016. Con una posizione femminista e antipatriarcale, assumendo questo processo come difesa del bene comune (González Ferreira, 2022), come parte delle loro rivendicazioni per la visibilità e il riconoscimento come soggettività politiche che si organizzano e creano strumenti per una presa di parola autonoma (Claros, 2017), sono riuscite ad includere la prospettiva di genere e il capitolo etnico, rendendolo l’accordo di pace più avanzato in termini di riconoscimento dei diritti delle donne e delle diversità sessuali mai firmato nel mondo. Grazie a questo processo, lo slogan “Non abbiamo partorito figli per la guerra” ha acquisito ampia legittimità. Questo processo ha avuto inoltre enorme rilevanza a livello politico, smontando la figura del nemico interno sul quale le classi dominanti avevano scaricato tutta la responsabilità della precarietà sociale del paese; inoltre, i movimenti sociali e delle donne, contribuendo all’inclusione delle questioni ambientali, territoriali, di genere ed etnici negli Accordi di Pace, hanno anche contribuito a superare una visione riduzionista della pace.

© El Pais MATIAS CHIOFALO (EUROPA PRESS)

Tra la pandemia e l’estallido social
Durante la pandemia, a fronte delle politiche del governo di estrema destra del presidente Duque, radicalmente insensibile alle esigenze e ai bisogni di ampi settori della popolazione, abbiamo assistito ad una proliferazione di reti e infrastrutture popolari e femministe che sono state fondamentali per affrontare la crisi e sostenere le lotte popolari. La rete “TodasSomosTodes”, nei quartieri popolari di Bogotà, ha creato strategie solidali e collettive gestite da donne, creando dispositivi per garantire sicurezza alimentare grazie ad un lavoro di mappatura dal basso delle situazioni di emergenza nei quartieri popolari, che ha permesso loro di individuare situazioni di violenza di genere e poter intervenire. Un’altra strategia è stata quella delle ollas comunitarias, spazi condivisi di cucina popolare e comunitaria che, oltre a garantire modalità concrete per superare la crisi alimentare, sono diventati luoghi di organizzazione e di problematizzazione della realtà da una prospettiva femminista, nutrendosi delle elaborazioni delle organizzazioni femministe che già da tempo producevano analisi e diagnosi delle forme di sfruttamento del lavoro, del sovraccarico di lavoro riproduttivo e dell’avanzamento della mercantilizzazione di tutte le forme di vita21. Le conoscenze e le pratiche che le donne dell'economia popolare di tutta la regione dispiegano quotidianamente per sostenere la propria vita quotidiana sono stati fondamentali per la gestione delle ollas comunitarias.
Questi dispositivi organizzativi sono stati parte integrante del repertorio di strategie emerse pochi mesi dopo, con l’estallido social esploso il 28 aprile 2021, con l’immensa mobilitazione popolare inaugurata dall’abbattimento, nella città di Cali, della statua del conquistador e stupratore di donne indigene, Sebastián Belalcázar. Di modo che queste pratiche, più che costituire solamente delle sperimentazioni, hanno consolidato relazioni di prossimità, hanno installato dibattiti e orizzonti di lotta, dove le pratiche e le riflessioni teoriche femministe si sono intrecciate con memorie e modalità di fare di lungo periodo delle organizzazioni indigene, contadine e afrodiscendenti. Riprendendo le parole di María Alicia e María Elvira durante una assemblea pubblica di donne durante l’estallido social: «facciamo parte delle ollas comunitarias, siamo tante donne nere, stiamo resistendo, in questo esercizio politico che è alimentare e sostenere la vita, perché qui non stiamo cucinando tanto per cucinare, non siamo tornate alla schiavitù. Stiamo cucinando per uomini meticci, per uomini e donne nere che stanno nella prima linea, stiamo facendo questo con coscienza e sì, siamo femministe, e sì, stiamo cucinando con tutto l’amore, con tutto l’impegno possibile, in queste cucine comunitarie dove si sta facendo resistenza, dove si formano nuovi cammini, nuovi incontri, dove nasce arte e nasce la poesia».
In questa scena possiamo trovare risonanze della resistenza delle donne in Argentina durante il governo Macri, dove la olla comunitaria era diventata anch’essa un modo di occupare le strade e di affrontare la crisi della riproduzione sociale e la situazione di emergenza della crisi economica. Questa azione fa parte del «saper fare comunitario, della capacità di collettivizzare quello che si possiede e mettere in primo piano la difesa della vita»22. La pentola in strada, come luogo di politicizzazione delle donne dei settori popolari, esprime la materialità delle lotte femministe di contropotere di fronte alle frontiere stabilite che hanno reso lo spazio domestico uno spazio privato, alle frontiere stabilite tra produttivo e riproduttivo, tra temporalità quotidiane e periodi di lotta popolare, riconnettendo all’interno di uno scenario di continuità la gestione della vita quotidiana e le lotte collettive in difesa della vita (Gutierrez, Navarro, 2022).
Queste pratiche di insorgenza quotidiana non si limitano ad una azione difensiva (Walsh, 2007), quanto piuttosto tramano forme di lotta per recuperare il corpo-territorio, come sostiene l’antropologa Rita Segato, mettendo in pratica altre economie, studiando il patriarcato e l’impatto sulle loro vite (inclusi i propri spazi di organizzazione) e cercando di andare oltre, anche oltre «le rivendicazioni che lo stesso Stato ci permette, superando i localismi» (Confluencia para la Acción Pública, en Korol, 2016) per proporre e costruire una nuova società, creando e rafforzando spazi di confluenza organizzativa tra soggettività diverse colpite dal modello neoliberale, specialmente i corpi femminilizzati che si oppongono alle modalità di sfruttamento capitalista23. Anche per questo la Minga indigena si è mobilitata per sostenere l’insurrezione popolare sotto assedio nelle città a causa del dispiegamento brutale della repressione statale: il primo maggio del 2021 cinquemila indigeni, con le loro 127 autorità, arrivarono fino alla città di Cali per unirsi alle mobilitazioni. Così, anche come donne migranti ci siamo organizzate per partecipare alle mobilitazioni oltre – e attraverso - le frontiere, creando la rete Azione Globale Femminista, uno spazio di organizzazione dei femminismi plurali internazionalisti che riconoscono la potenza della solidarietà transfrontaliera come pratica di cura e di resistenza (se oggi ci mobilitiamo per la Palestina, sosteniamo anche la lotta delle donne iraniane e curde).
Le radici del malcontento sociale possono essere ritrovate nel carattere sistematico e strutturale delle molteplici violenze associate al modello di accumulazione capitalista, coloniale e patriarcale, e nell’intensificazione delle politiche neoliberiste di taglio razzista, classista, lungo le linee dell’etnia e del genere che hanno trasformato la quotidianità di moltissime persone in una esperienza invivibile. A partire da queste coordinate, le lotte femministe nell’Abya Yala si intrecciano con altre “lotte per il comune”24, e con i cicli di insurrezioni popolari e delle proteste che sfidano il capitalismo come modello egemonico di organizzazione della vita. Roseli Fincue Chavaco, leader della difesa dei diritti del popolo Nasa di Tierradentro nel Cauca, del Consejo de Mujeres Indígenas La Gaitana, e del Proceso de Mujeres Consejo Regional Indígena del Cauca – CRIC definisce così il lavoro portato avanti dalle donne: «A fronte di queste realtà le proposte che stiamo costruendo, tessendo come donne, mentre ci formiamo a livello politico e culturale ed economico per creare economie e tessuto di autodeterminazione e autonomia nei nostri spazi per affrontare la situazione e per creare resistenza e costruire altre visioni di vita, di territorio e anche di paese, che non sia quella visione basata sulle gerarchie politiche ed economiche. Così come l’incontro, la formazione e l’autoformazione di processi principalmente delle donne, contribuiscono a recuperare la fiducia, che è ciò che la guerra ha distrutto, e ricostruire comunità».
Convergenze
Le lotte dei movimenti femministi di Abya Yala25 sono composte da un mosaico di eterogenee soggettività, geografie, temporalità, produzioni politiche e concettuali, infrastrutture, connessioni tra femminismi indigeni, neri, comunitari, territoriali, popolari, cimarroni o socioambientali. Le femministe in Abya Yala stanno consolidando un repertorio teorico-politico che costituisce una costellazione di pratiche, saperi, emozioni, affetti, spiritualità (Ulloa, 2023) rete e acuerpamientos. In questo senso, il concetto di corpo-territorio mette in evidenza lo sfruttamento come territorio comune, e situa anche il corpo come territorio esteso, come materia ampliata che mette in luce alcuni saperi del corpo che sono a loro volta territori di alleanze politiche. Per queste ragioni, Verónica Gago sostiene che il corpo-territorio è una «idea forza che sorge da certe lotte specifiche ma che ha la potenza di migrare, risuonare e comporre altri territori e altre lotte»26 da altre temporalità. Come propone la femminista maya-xinga Lorena Cabnal: «i nostri corpi indignati davanti alle ingiustizie che vivono altri corpi [...] si autoconvocano per ricaricare energia politica per resistere e agire contro le molteplici oppressioni patriarcali, coloniali, razziste e capitaliste. L’acuerpamiento genera energie affettive e spirituali e rompe le frontiere e il tempo imposto. Ci rifornisce di vicinanza, indignazione collettiva, ma anche rivitalizzazione e nuove forze, per recuperare l’allegria senza perdere l’indignazione (2015, p1)».
Le parole di Lorena Cabnal risuonano con il comadrazgo27, spazio di riconoscimento, convalida ed elaborazione delle esperienze di vita, comprese le esperienze di dolore che le donne nere hanno vissuto nei territori afflitti dalla violenza. Nel comadrazgo, le donne nere «ampliano la parentela al di là della consanguineità», costituiscono relazioni indissolubili e livello spirituale attraverso cui costruiscono relazioni di collaborazione e accompagnamento che garantiscono sostegno affettivo ed anche economico (Lozano, 2016). Betty Ruth Lozano le definisce come «pratiche di resistenza insorgente quotidiana», che si basano sulle pratiche sviluppate dalle donne, con capacità di trascendere lo spazio della casa e lo spazio domestico con l’obiettivo di costruire comunità28. Il potere per il femminismo nero si trova profondamente vincolato alla nozione di cura e di promozione del collettivo e del comune. Per i popoli indigeni e afrodiscendenti queste costruzioni coinvolgono complesse intersezioni tra l’umano e il non umano, tra la natura e la spiritualità, che stabiliscono relazioni di co-produzione in base a ontologie relazionali, in cui si include l’identificazione e la costruzione di reti transnazionali con processi sociali più ampi come parte di una «proposta etica e politica per la continuità della vita» (Ulloa 2023, Escobar 2015).
Sulla base di questo, le donne nere costruiscono la “politica del luogo” dal periodo della schiavitù fino ad oggi: la sociologa Betty Ruth Lozano propone questa nozione per fare riferimento all’appropriazione e alla reinvenzione territoriale portata avanti dalle donne africane e dalle loro discendenti, una volta che ottenevano la libertà attraverso la fuga, nel continente americano. La politica del luogo significa il dispiegamento di «una prassi di appropriazione, difesa e ricostruzione del luogo. Implica anche la costruzione di conoscenze pratiche sulla natura, la produzione di tecnologie fondamentali per la sopravvivenza e la relazione con altri esseri umani, come processo necessario per la fondazione di una comunità» (Lozano, 2016). Il luogo è costituito dalle pratiche sociali e, a loro volta, queste sono costituite dal luogo, ma questa nozione è estensibile anche ai corpi delle donne nere stesse: il luogo, come suggerisce Betty Ruth Lozano, è quindi una geografia e una corporeità da cui si produce conoscenza.
Nel nord della Colombia, l’organizzazione indigena Fuerza de Mujeres Wayuú denuncia l’impatto della più grande miniera di carbone dell’America Latina, El Cerrejón, di proprietà svizzera che, trovandosi in una zona semidesertica con problemi idrici, estrae oltre 45milioni di litri d’acqua al giorno. Per le comunità, l’acqua è un essere vivo, manifestazione di Polowi, lo spirito femminile dell’acqua, che ha perso il proprio territorio. Per questo la lotta del popolo Wayuú ha l’obiettivo di ottenere il riconoscimento del diritto all’acqua, come parte del diritto di tutti gli esseri di poterci essere e poter esistere. Questo implica esigere la disponibilità dell’accesso all’acqua, non solo come un diritto per gli umani, ma per tutte le specie che hanno bisogno di acqua per esistere e continuare a vivere29. Da ciò deriva come la politica della cura dalla prospettiva del corpo-territorio implica una entrata relazionale e olistica della vita, che si esprime nella «materialità di un corpo “sentipensante” e collettivo che si riproduce in modo interdipendente ed ecodipendente dove la cura del corpo e della terra si ritrovano nel nucleo stesso di costruzione del comune» (Vega, 2019)30.
Nel Pacifico colombiano, in mezzo a condizioni di precarietà, le madri e le donne insegnano alle bambine e ai bambini fin dalla giovane età a vedere i luoghi che abitano come territori di vita, stabilendo un vincolo così profondo con la terra fin dalla loro nascita quando si sotterra il cordone ombelicale31, come modo per fissare fin dalle radici la connessione tra la persona e il territorio. Questa eredità coinvolge conoscenze e valori tradizionali che si traducono in pratiche di cura del territorio e della comunità come spazio vivo, perché come detta il principio sudafricano dell’Ubuntu, “io sono perché tu sei”, significa che «nulla esiste senza che tutto il resto esista»32. Questo riferimento, lontano dall’essere astratto, si materializza nei motivi, negli slogan e nelle strategie delle lotte nere, le cui rivendicazioni erano e sono «il territorio è la vita, e la vita non si vende, si ama e si difende»33. Anche altre comunità sotterrano il loro cordone ombelicale, come il popolo Nasa che vive nella zona andina sudoccidentale della Colombia. All’interno di questa eredità di resistenza, questa pratica si inserisce nell’impegno per la liberazione della Madre Terra come principio, ma anche come processo in senso pratico che include un programma concreto di recupero della terra con l’obiettivo di disintossicarla «de-mercificandola», liberandola «dal capitale per liberare noi stessi»34. Negli ultimi decenni in Abya Yala, i conflitti territoriali socio-ecologici hanno riacquistato un ruolo di primo piano in relazione ai femminismi: nonostante la repressione, nella riprogettazione dei significati del territorio, dello spazio pubblico e delle sfere comunitarie, configurano nuove geografie della speranza e della resistenza (Gutierrez Aguilar et al., 2022). Potremmo dire che queste geografie si sovrappongono alle geografie dell’incertezza, in cui le emozioni sono la potenza centrale delle mobilitazioni e delle resistenze collettive, perché attraverso di loro si intravedono pratiche di difesa socioambientale, nuove soggettività in relazioni di convivenza con tutti gli esseri, inclusi quelli spirituali, in forme di scambio e di cura (Ulloa, 2023). Nahomi Efíma è una tessitrice di trecce, si è trasferita a Bogotá da piccola, ha appreso questa arte da una donna africana, ha lavorato nel salone del parrucchiere “Blancos y Negros” assieme a donne del pacifico e della costa dei caraibi: «abbiamo una cultura come tessitrici, la mamma, la nonna, la bisnonna, tutte si sono dedicate alle pettinature. Si apprendono tantissime cose condividendo con loro. Stiamo imparando la diversità di realtà e diverse forme di muovere l’economia in una forma diretta basata sulla condivisione di ognuna e con ognuna. Anche se siamo diverse vogliamo stare bene assieme».
In questi processi nascono spazi comuni dove si mettono in pratiche forme di solidarietà che tramano la riproduzione della vita e simultaneamente ricompongono forme collettive che disattivano l’atomizzazione individualista, rendendo possibili relazioni che operano oltre la logica capitalista, attraversando i binarismi e le disuguaglianze che questi sostengono. Si tratta di processi che affrontano le tensioni interne ai processi sociali e alle comunità, contribuendo a smantellare le visioni moralizzanti che idealizzano le comunità indigene, nere, contadine o popolari nelle città, confrontandosi al contempo con prospettive che universalizzano la conoscenza del mondo accademico occidentale (Vega, 2019).
In questo momento in Colombia si stanno riconfigurando le pratiche e le forme di lotta, reiventando e desiderando nuove istituzionalità a partire da una re-sensibilizzazione dei corpi-territori che propongono i femminismi neri e indigeni, in risonanza, dialogo aperto e anche in tensione con i processi dei movimenti sociali urbani, popolari e contadini da una parte, e con le esperienze e i processi politici vincolati con le sfide del governo dall’altra. Le comunità e i processi comunitari pensano in primo luogo i luoghi in cui vivono come territori di vita: al tempo stesso in questi ultimi tempi si stanno confrontando con una intensificazione della violenza, risonanze di una lunga storia di guerra ed espressione, contemporaneamente, delle riconfigurazioni del capitalismo estrattivista e dei venti di guerra a livello globale, dell’odio e della violenza che si dispiegano lungo le linee della razza, del genere e della classe. La contesa e la lotta per i territori come spazi di vita è una questione centrale delle lotte indigene ed afrodiscendenti, così come delle lotte urbane e popolari, caratterizzandosi come un elemento profondamente connesso con una prospettiva femminista e anticapitalista, oggi al centro di processi sociali, di politicizzazione e di organizzazione politica che ci permettono di riflettere attorno ad una serie di elementi chiave dell’attualità politica e delle molteplici crisi che viviamo.
Fondamentali oggi le sfide legate alla possibilità della costruzione di infrastrutture solide di contropotere popolare a fronte degli attacchi espansivi del neoliberismo e dei processi conservatori e autoritari a livello globale, infrastrutture comuni che sono a loro volta politiche, concettuali, tecnologico-digitali e affettive, che emergono dai saperi concreti a loro volta dinamici, eloquenti, che permettono la riproduzione ampliata della vita a fronte delle molteplici violenze, rappresentano una sfida centrale per i femminismi oggi. Le lotte popolari e femministe ridefiniscono il campo dello scontro attorno al lavoro e alla riproduzione della vita, risignificando la relazione tra pubblico e privato, le forme in cui si spazializza la cura, l’autonomia sui propri corpi, le forme di maternità, le trame comunitarie, le contese territoriali e le conflittualità sociali che si confrontano con lo sviluppo capitalista, proponendo e sperimentando al tempo stesso altri cammini e modi di stare-nel-mondo. Le trame che emergono da queste forme di resistenza configurano un corpo esteso e per tanto collettivo, capace di intrecciarsi con processi di costruzione di potere popolare e di immaginazione politica ed economica, per produrre forme specifiche di prendersi cura della vita e dei territori, generando transazioni sensibili, strategiche, creative e controegemoniche, connettendo e potenziando al tempo stesso quelle materialità improbabili che già esistono.
Traduzione italiana di Alioscia Castronovo

© Fundaciòn Heinrich Böll
Note
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Canti durante la mobilitazione dell’8 marzo a Barranquilla, Colombia, 2025
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V. Gago - L. Cavallero, Una lectura feminista de la deuda, Buenos Aires, Fundación Rosa Luxemburg, 2019, trad. It. Vive, libere e senza debiti!, Verona, Ombre Corte, 2020
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M.L. Navarro, Luchas por lo común. Antagonismo social contra el despojo capitalista de los bienes naturales en México, Bajo Tierra Ediciones – BUAP, 2015
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Per approfondire l’analisi dell’estallido social in Colombia rimando al dossier che ho editato assieme ad Alioscia Castronovo per la rivista South Atlantic Quarterly (Castronovo, Hernández, 2022; Córtes Ramírez, 2022; Lozano Lerma, 2022, Bernal Ilich, 2022; Abud, 2022). Sulla relazione tra femminismi e lotte popolari in Colombia segnalo il mio articolo Feminismos y luchas populares en Colombia: cuerpo-territorio y confluencias de rebeldías, «Cuadernos Feministas», 1, 2022, dell’Instituto Tricontinental de Investigación Social
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V. Gago, La potencia feminista: O el deseo de cambiarlo todo, Buenos Aires, Tinta Limón, 2019, trad. It. La potenza femminista. O il desiderio di cambiare tutto, Alessandria, Capovolte, 2022
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La Colombia ha sperimentato una intensificazione del conflitto e della violazione dei diritti umani con la firma del Plan Colombia, un accordo bilaterale tra gli Stati Uniti e il governo colombiano per il controllo della produzione di droga, il traffico e le attività delle guerriglie, «costituisce una strategia di controlla della regione andina complessivamente», A. Escobar, Ecología Política de la globalidad y la diferencia, in H. Alimonda (a cura di), La colonización de la naturaleza, Buenos Aires, Colección Grupos de Trabajo – CLACSO, 2011, pp. 59-90: p. 81. Il primo pacchetto milionario di finanziamento (2000-2002), rafforzò la militarizzazione, la fumigazione indiscriminata e di conseguenza il conflitto
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A. Escobar, Ecología Política de la globalidad y la diferencia, cit., e Red Popular de Mujeres de la Sabana, Diálogos, reflexiones y desafíos en Colombia. Hacía un feminismo popular, Fundación Rosa Luxemburg, 2017. Strutture organizzare e cofinanziate da narcotrafficanti, grandi allevatori, élites politiche nazionali e regionali e le forze armate orientate a compiti controinsorgenti, ma dedicati fondamentalmente ad ampliare la ricchezza di imprenditori e latifondisti attraverso la spoliazione di terre degli indigeni, dei contadini e dei popoli afrocolombiani (M. Beltrán - N. Caruso, Estado, violencia y protesta en Colombia, «Jacobin Latinoamérica», 2021: https://jacobinlat.com/2021/03/11/estado-violencia-y-protesta-en-colombia/ )
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U. Oslender, Comunidades negras y espacio en el Pacífico colombiano. Hacia un giro geográfico en el estudio de los movimientos sociales, Bogotá, Icanh/Universidad Cundinamarca/Universidad del Cauca, 2008. “Geografie del terrore” è un’espressione che identifica le dinamiche di violenza e spossessamento che si esercitano su un territorio con il proposito di controllarlo per i progetti di accumulazione capitalista. Assassinare donne nel Pacifico è parte di questa strategia del terrore che si esercitano contro la popolazione, con modalità di assassinio particolarmente atroci: smembramento, annegamento e taglio di natiche e seni. Si tratta del terrorismo esercitato dallo Stato e dagli agenti del capitale contro le popolazioni
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Intervista personale a Natalia López Rodriguez, Colectiva Juntanza – El Catatumbo, nordest colombiano
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Interviste personali, 2025
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R. Segato, La guerra contra las mujeres, Madrid, Traficantes de sueños, 2016, p. 61. Un caso ampiamente affrontato per «l’analisi della violenzaa sistematica contro le donne indigene come componente centrale del conflitto interno è quello del Guatemala», dove «le forze militari agendo in modo parastatale» hanno violentato le donne «come modalità di dissolvere il tessuto sociale, seminare sfiducia e rompere la solidarietà comunitaria», in ivi, p. 65. Approfondisco questo tema nel paper Las mujeres como ‘botín de guerra’. Violencia de género y colonialismo en las comunidades indígenas de Colombia, presentata alla Jornadas de Sociología de la Universidad de Buenos Aires (Hernández, 2021). Il testo, sebbene richieda di essere attualizzato, rimane utile
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La Commissione della Verità in Colombia è stata creata per chiarire i fatti avvenuti durante il conflitto armato nel paese, che ha causato oltre nove milioni di vittime. La sua funzione è quella di contribuire al riconoscimento dei fatti di violenza e contribuire alla giustizia transizionale
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Justicia Especial para la Paz (2017), è un Tribunale di giustizia transizionale creato in Colombia come parte degli Accordi di Pace tra le FARC-EP e il governo colombiano. Si incarica di investigare, giudicare e punire i responsabili di gravi delitti commessi durante il conflitto armato in Colombia, incluso crimini di guerra, crimini di lesa umanità e genocidio. Cerca di contribuire alla verità, alla giustizia e alla riparazione delle vittime del conflitto
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Intervista personale a Roseli Fincue Chavaco, Defensora de Derechos del Pueblo Nasa – Tierradentro. Consejo de Mujeres Indígenas La Gaitana. Proceso de Mujeres Consejo Regional Indígena del Cauca – CRIC
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Questo governo è responsabile del consolidamento dell'ascesa di un gruppo sociale che si è amalgamato con le élite regionali e tradizionali del paese (Claros, 2017) da cui è emersa la narcopolitica: un disegno istituzionale composto dallo Stato, dal narcotraffico, dal modello neoliberista, dai poteri locali e internazionali
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Programma per lo sradicamento della guerriglia attraverso la via armata, che ha suggellato la compresenza tra tecnologie di guerra e neoliberismo. In pratica, ciò comportava misure basate sullo stato di eccezione, persecuzioni, criminalizzazione e sterminio di qualsiasi espressione di protesta popolare che si opponesse all'establishment (Vega Cantor, citato M. Beltrán - N. Caruso, Estado, violencia y protesta en Colombia, cit.)
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R. Segato, La guerra contra las mujeres, cit., p. 51
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Sebbene in quel momento, le mobilitazioni femministe in Colombia non erano ancora state collegate a questo movimento, il 6 luglio 2015 è stata promulgata la legge 1761, che classifica il femminicidio come reato specifico. È nota anche come Legge Rosa Elvira Cely, in memoria di una lavoratrice dell'economia popolare vittima di femminicidio nel 2008. È stata la lotta della famiglia, insieme a organizzazioni sensibili, a rendere possibile questa conquista legale. Oggi Rosa Elvira è un simbolo di giustizia e un appello alla società nella lotta per eliminare la violenza contro le donne
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Specialmente le donne che vivono nelle aree più colpite, come le comunità indigene, afrodiscendenti e rurali, ma anche nei quartieri popolari delle città. In Colombia la povertà estrema è del 15,1%, ovvero 7,5 milioni di abitanti, concentrata nelle regioni in cui vive la maggioranza della popolazione nera e indigena (CDIH Punto 12, p.4). La Corte costituzionale ha riconosciuto che i popoli indigeni sono stati vittime delle più gravi violazioni sistematiche dei loro diritti fondamentali. Molte comunità rischiano l'estinzione fisica o culturale a causa degli sfollamenti forzati e come conseguenza di situazioni strutturali preesistenti al conflitto, come povertà estrema, insicurezza alimentare, mancanza di assistenza sanitaria e abbandono istituzionale (Ministero degli Interni colombiano, 2012). Dati più recenti affermano che la fascia di popolazione maggiormente colpita dal conflitto armato interno sono i popoli afrodiscendenti e, tra questi, in particolare le donne (CODHES, 2019)
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Questa ricerca ha contribuito allo slogan «Anche il mio lavoro in casa vale perché è un contributo sociale ed economico»
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L. Cavallero - V. Gago, La escritura en el cuerpo de las mujeres, «Página 12», 14 settembre 2018, https:/www.pagina12.com.ar/142145-la-escritura-en-el-cuerpo-de-las-mujeres
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Come accade esplicitamente con i popoli indigeni, che seguono le proprie cosmovisioni, integrate da forme comunali di organizzazione e da logiche territoriali, solitamente si inseriscono in contesti di grande fertilità della terra, e per lo stesso motivo di grande importanza strategica in termini militari ed economici per una molteplicità di attori e poteri, che cercano di appropriarsi dei loro corpi-territori per ingrossare le fila del narcotraffico, per lo sfruttamento di risorse naturali, per l’agrobusiness o come parte dello sfruttamento del lavoro vivo nell’estrattivismo ampliato (Gago e Mezzadra, 2015)
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M.L. Navarro, Luchas por lo común, cit
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Abya Yala è il nome che il popolo indigeno Kuna utilizza per definire il continente americano, utilizzato soprattutto in Sud America, essendo America un nome coloniale con il quale molti popoli non voglio definire il proprio territorio comune. I femminismi comunitari e indigeni lo hanno adottato come parte di una pratica di decolonizzazione epistemica, è diventato popolare ed attualmente è parte della grammatica femminista anticoloniale in tutta la regione dal Messico fino all’Argentina
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V. Gago, La potencia feminista, cit., p. 93. Dalla prospettiva del lavoro svolto da ricercatrici sull'autonomia delle migrazioni è stato analizzato l'emergere di un'economia della cura in movimento e il modo in cui le persone che si trovano in processi di mobilità differenziata ricostruiscono altre comunità – potremmo dire, corpi-territori estesi – come parte delle strategie di cura in transito (Álvarez e Varela, 2022). Al contrario, di fronte alle politiche di espulsione di massa dei migranti del governo degli Stati Uniti, sono le comunità, non le istituzioni, a mettere in atto pratiche di accoglienza radicali per supportare le popolazioni di ritorno nei loro processi di riadattamento e integrazione sociale
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A tal proposito, consiglio vivamente di approfondire il lavoro di Anyela Perea Lazo
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Come la partería, l’uso della medicina ancestrale, forme di lavoro comunitario e organizzative proprie (Lozano, 2016
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Il processo di lotta delle comunità Wayuú è documentato tanto da lavori propri di ricerca come dall’antropologa colombiana Astrid Ulloa, che a partire dalla nozione di territori-acqua della comunità ha proposto il concetto di giustizia idrica relazionale (Ulloa, 2023)
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Esistono infinite esperienze nella regione latinoamericana dove è possibile un sinfín de experiencias en la región latinoamericana en donde es posible rintracciare la sovrapposizione temporale di queste reti di lotte anticoloniali che vengono intraprese a partire dal riferimento al corpo-territorio come chiave interrelazionale per la cura del comune
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Rudy Amanda Hurtado-Garcés scrive in Diaspora. Dialéctica de los mundos afropacíficos, https://diaspora.com.co/la-ombligada-es-una-practica-ancestral-de-algunas-comunidades-negras. In questo universo di riferimento, la ombligada è la pratica ancestrale con cui inizia il processo di socializzazione per mantenere la vita collettiva come parte della convivenza con gli altri esseri immersi in un luogo, il territorio, inteso come campo simbolico di produzione e riproduzione, come spazio di liberazione che risulta dalla dialettica tra la vita e la terra, permettendo l'esistenza
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A. Escobar, Desde abajo, por la izquierda y con la Tierra. El País, 2016, http://blogs.elpais.com/contrapuntos/2016/01/desde-abajo-por-la-izquierda -y-con-la-tierra.html
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V. Almendra, Entre la emancipación y la captura. Memorias y caminos desde la lucha Nasa en Colombia, México, Grietas Editores, 2017, p. 110